Lei era una bambina che qualunque collina
avrebbe voluto avere come sole.
Da tempo immemorabile era bella.
E più che una bambina era una stella.
Più che una stella era qualunque cosa.
Più di qualunque cosa era amorosa,
più di qualunque amore decorosa:
di tutto l’universo era la sposa.
Ma era troppo piccola: una rosa
che sboccia appena, come ogni creatura
sospesa tra l’eterno e la paura
dei giorni che dei sogni sono mura.
Le mura di chi è nato e non gli è dato
capire più di quanto del creato
gli venga in uno spazio costruito
e dentro un tempo già determinato.
Ma i sogni la sognavano più forte
del sogno che a ogni nato è dato in sorte
prima che nel silenzio della morte
le vite si ritraggano contorte.
Quasi che solo quello si sapesse:
che tutto infine ha fine come il sole
e l’universo e tutto ciò che vuole
vivere sempre, e che vivendo muore.
Quest’era l’infinita nostalgia,
quest’era l’assoluta lontananza
prima che quella luce in quella stanza
dicesse allora e per sempre: “Maria”.
Aldo Nove, I da Maria
1 commento:
allora: cosa scrivo sul mio blog se ogni volta mi precedi?
qui è la prima volta, poi le gru, poi steiner...
comunque sto poemetto è davvero qualcosa di eccezionale...
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